Avere un quoziente intellettivo (QI) alto non è sempre una benedizione. Le mie disavventure di "bambina precoce". Prima parte (sì, non finirò qui di parlare di alto potenziale cognitivo).
Tutte le bambine precoci che conosco hanno una newsletter, sono attiviste di qualchecosa e soffrono terribilmente per la loro sensibilità. Ah, e ovviamente sono precarie, alla faccia del "questa da grande non ci darà preoccupazioni". Abbracciamoci ❤️🩹
Quanto ha ragione! Io sono letteralmente circondata di "ex bambine precoci". Perché alla fine ci riconosciamo, e ci stringiamo insieme, sì. Sorellanza, che bella parola. ❤
Mi sa che substack si è mangiato il commento che stavo scrivendo, dicevo: leggendoti stavo pensando questa cosa (oltre a ovviamente 'tutto vero, tutto giusto, che strazio di fatica'): anche io ricordo di avere realizzato - anche se non era veramente una realizzazione, perché non era un fatto oggettivo, stavo interiorizzando un'idea - di essere brutta, bruttissima, quindi tanto valeva essere quella intelligente. Ma veramente presto. Ecco, mi chiedo quanto abbia influito in questo nostro abbracciare a peso morto e con tutte le conseguenze nefaste future del caso questa caratteristica a scapito di tutte le altre il fatto di essere state cresciute dentro una cultura del corpo per niente accogliente e molto giudicante. Perché poi guardi queste foto di bambine e non ti capaciti da dove possa essere venuta questa credenza fortissima e radicata così profondamente, perché di sicuro non viene dal dato di fatto oggettivo.
Già. Io credo di aver abbracciato l'intelligenza perché nella mia famiglia la bellezza era considerata un disvalore, una cosa vacua e superficiale, da ragazza “poco seria”. Quello spazio è stato occupato da mia sorella minore, che al contrario mio è stata cresciuta convinta di non essere molto intelligente - solo perché non andava bene a scuola. Non so a chi è andata meglio. 🥹
Anche io ricordo benissimo questi “abiti” che a un certo punto venivano cucite addosso a noi bimbe: bella e stupida/brutta e intelligente. Io, che sono stata fino alla maturità senza fatica la prima della classe (non ho fatto mai nessun percorso diagnostico), sono rapidamente stata messa nel calderone 2. Sicuramente alle bimbe messe nel primo non è andata meglio, in ogni caso credo pesi tantissimo nello sviluppo della personalità creando quelle fragilità di cui si parla nell’estratto che citi. Grazie davvero per queste riflessioni
Grazie per questa esperienza preziosissima per me. Sto tenendo un corso di Universal Design for Learning e mi sto rendendo conto di quanto ancora purtroppo dipenda dalla buona volontà della singola o del singolo docente. Ed è un peccato enorme, come dici tu. Io ho avuto la fortuna di avere insegnanti che mi davano attività in più per non farmi annoiare, ma sono sconcertata che dopo 30-35 anni si insegni ancora come hanno insegnato a me. Senza contare lo stigma che hanno le certificazioni per molte e molti docenti e genitori, ancora oggi. 🥹
Credo che alla base ci sia un profondo bisogno di essere capiti da altri esseri umani e di poter condividere le proprie scoperte. Quando sei plusdotato, alcune cose ti risultano sorprendentemente facili, ma non lo fai per vantarti o per rinfacciare qualcosa: semplicemente, succede. Il problema nasce quando qualcun altro — spesso un superiore — insiste che “non si può fare” o che “bisogna fare in un altro modo”, anche se tu hai appena dimostrato il contrario. Forse è anche per questo che per molti di noi è difficile mantenere un lavoro “normale”.
Io sono nata nel ’77: molte cose che gli altri trovavano complicate per me erano intuitive, mentre a volte fallivo clamorosamente in cose considerate semplici. È una dinamica bizzarra. Per dire: all’università l’esame più semplice del corso l’ho dovuto rifare sette volte - alla fine ho passato grazie alla pietà del professore.
Ai miei tempi non si parlava di plusdotazione: se a due anni conoscevi l’alfabeto e a quattro sapevi leggere, scrivere e fare i conti, al massimo eri visto come un po’ strano. Non si faceva nulla per supportarti: magari ti iscrivevano a più attività contemporaneamente per tenerti impegnato. E ancora oggi, se non studio o non faccio qualcosa di stimolante, rischio di cadere in depressione. Ciclicamente soffro di disforia, soprattutto per quella frattura dolorosa tra ciò che vorrei comunicare, ciò che effettivamente riesco a trasmettere e ciò che gli altri riescono a percepire.
Per me, questa dotazione non è solo un privilegio personale: vorrei che fosse a servizio anche degli altri. La vedo come un talento che, per esprimersi pienamente, deve essere utile sia a me sia al mondo intorno a me.
Forse è proprio questo il punto più doloroso e insieme più prezioso della neurodivergenza: portiamo dentro un linguaggio e una visione che non sempre trovano corrispondenza fuori. Eppure, è lì che sta il nostro contributo più grande: nel cercare di costruire ponti tra mondi diversi, anche quando la fatica è enorme. Parlare di plusdotazione non è una moda, ma un modo per riconoscere il valore e le sfide reali di chi vive con un pensiero “fuori scala”.
Grazie per questo commento così preciso e profondo. È esattamente così anche per me. Metà della frustrazione deriva dal fatto di sentire che il mio potenziale non è messo a frutto. Così mi sono sempre sentita nei lavori che ho fatto da dipendente, e anche in alcuni lavori da freelance. Ora sento di riuscire a fare qualcosa di significativo per il mondo, e spero di continuare a farlo. Grazie 💜
A mio avviso mancano nelle scuole programmi pensati per chi ha la settima marcia. Così come esistono riduzioni o aiuti per i DSA, non vedo perché non offrire di più a chi può andare oltre.
Purtroppo, quando insegnavo (uno dei mille lavori che ho fatto), avevo diverse classi con studenti plusdotati e mi ero offerta di tenere gratuitamente lezioni avanzate di chimica. Mi dissero che li avrei ghettizzati. E, ciliegina, aggiunsero che “una persona troppo intelligente può essere pericolosa”… ma qui, forse, è colpa della cultura pop, abituata a immaginare solo i cervelloni pazzi delle serie TV.
Grazie per questa lettura, mi ci riconosco molto ma, contemporaneamente, mi riconferma anche l'estraneità che ho provato allora e provo anche oggi nei confronti del tema.
Io faccio parte di quella percentuale di plusdotati sfigati che si sono fatti accademicamente detonare in giovane età. Ho preso il diploma alle scuole serali a 26 anni e non mi sono mai laureata, cosa che genera sempre un certo stupore (sono una scrittrice e manager in un'organizzazione internazionale, i miei colleghi del resto del mondo hanno tutti curriculum scolastici stellari). La scuola per me non è mai stata un metro di auto misurazione, non l'ho mai potuta soffrire e non nutrivo nessun interesse nel "mostrarmi brava". Semmai, il contrario.
Naturalmente, ogni caso è a se. Nel mio c'erano comorbilità importanti con depressione infantile e una situazione socio-economica molto difficile (per cultura e necessità, i miei volevano solo che andassi a lavorare il prima possibile), che mi hanno direzionata altrove. Mi rende sempre un po' malinconica constatare che, neanche in questo momento di consapevolezza collettiva su questi temi, io riesca a sentirmi "parte di". Forse non è proprio destino ahah.... comunque nulla, volevo lasciare questa traccia per amor di conversazione!
Grazie, Eleonora. Ogni voce è importante, per me, in questo momento di scoperta e riscoperta. Credo che la situazione socio-economica di partenza abbia un peso notevole, come sempre. E pure le co-occorrenze, ed eventuali traumi infantili, e successivi. Per me sei un esempio positivo, meravigliosamente positivo: Io mi sono persa dopo di te, e anche se ho un dottorato preso con pochissima convinzione e tantissima fatica sto ancora cercando di ritrovarmi, lavorativamente e anche affettivamente (anche se so di dare un'immagine di “successo”, finché non riuscirò a essere economicamente indipendente da sola non mi considererò davvero in grado di navigare nel mondo degli adulti). Quindi, ancora, grazie per aver condiviso questa esperienza. 💜 E tanti arcobaleni per tutti i tuoi progetti meravigliosi!
Leggevo la parte sulla tua scuola elementare e pensavo: be’ dai almeno un’amica ce l’avevo e ci passavo insieme tutti i pomeriggi. Ehm: è una persona autistica (valutata da adulta), strano che stessimo così bene insieme :)
Hahaha adoro! Io avevo alcune persone di cui volevo essere amica, e che dicevo fossero le mie migliori amiche, ma in realtà per loro non era così. Me ne sono resa conto da grandicella, per fortuna. E poi avevo alcune amiche che però ho un po' perso subito. Il fatto che i miei non mi facessero quasi mai frequentarle il pomeriggio ha influito. Ma ai tempi non si usava tanto. Credo.
Non ne parliamo mai, perché non è elegante. Ma le storie di noi "bambine precoci" sono molto simili tra loro, me ne sto accorgendo ora che ne inizio a parlare. Eravamo bambine, per quanto stronze e saputelle. Ci siamo cresciute da sole. Siamo state brave. ❤
Leggendo questo post ha risuonato in me fortissimo in più parti. Ricordo ancora quanto mi turbasse alle elementari quando la maestra pretendeva che il giorno dopo fossi io a spiegare i problemi di geometria assegnati per casa alla lavagna. Al pomeriggio mi saliva un'ansia incredibile e non capivo perché dovessi avere quel ruolo a solo otto anni, e non mi fosse concesso di non capire a volte come tutti gli altri (nota di merito a mia madre che intervenne più volte in merito per ricordare alla maestra che tutta quella responsabilità non mi giovasse). Poi alle medie mal di pancia forti diventati invalidanti (proprio come i tuoi mal di testa) e causati dal solo pensiero di non riuscire a fare tutto bene sempre. E via così, nel mio percorso scolastico e poi universitario c'è sempre stata una componente di malessere fisico e mentale nonostante amassi tantissimo studiare, sempre collegata all'immagine di brava bravissima da preservare. Ora che mi trovo dall'altra parte della cattedra sto sempre ben attenta a che non ci siano etichette attaccate su ragazze e ragazzi, che abbiano lo spazio per essere incredibilmente brillanti ma anche per sbagliare senza che questo sia un dramma ma anzi un'occasione. Credo sia importante guidarli nella non facile esperienza di conoscersi, nella possibile leggerezza di essere mille cose insieme tutte diverse e tutte ugualmente di valore.
Grazie per questa tua condivisione. Io credo che le diagnosi, e le etichette, paradossalmente possano aiutare a non sentirsi strane, o eccezionali. E possano aiutare gli adulti a capire cosa succede e a mitigare gli effetti di qualche caratteristica. Continuo a chiedermi come sarei stata se avessi fatto la primina, se avessi avuto intorno adulti meno adoranti e più comprensivi. Oggi per fortuna ci sono persone come te. 💜
Sono assolutamente d'accordo con te, io parlavo di etichette fittizie che "recintano" chi puoi essere e ti chiudono in quella definizione fittizia lì senza aiutarti a capire. Fondamentali le diagnosi e fornire gli strumenti adatti ai più piccoli e alle più piccole (ma non solo) per capire chi sono e abitare quel loro essere con consapevolezza e senza sentirsi fuori posto o incompresi/e. Un abbraccio alla te bimba 💕
Mi fa un po' male e un po' bene questa newsletter. Mi ritrovo in quasi tutto quello che dici e mi viene da piangere. Quasi perché a me dei bei voti e di essere la migliore della classe non è mai fregato niente, anzi io volevo essere come tutti! Saper leggere e scrivere a 3 anni, parlare correntemente in 2 lingue, scrivere poesie e racconti quando gli altri bambini razzolavano in giro ha ben presto smesso di essere normale per diventare un peso. Mi sono rifiutata di parlare in francese fino alle scuole medie perché gli altri bambini mi prendevano in giro. Non avevo praticamente amici, ero isolata. Ma io mi ritenevo superiore, sapevo di essere intelligente (me lo dicevano tutti, no?) e questa consapevolezza, rafforzata dalla grande importanza che gli davano i miei genitori, mi faceva "bene". O forse no, mi teneva solo lontana, disconnessa dalle mie emozioni che non potevano mai essere mostrate, perché io ero forte, una roccia. Ci ho messo decenni a buttare giù i muri che avevo creato per difendermi, tutto da sola perché "io ce la faccio". Ecco ora forse mi sono stufata di fare tutto da sola. Grazie.
Paola, grazie. Capisco tanto bene. Abbiamo alzato barriere diverse per difenderci, e quanto lavoro dopo. Anch'io sempre quella forte, quella indipendente, quella che non ha bisogno di aiuto perché è in gamba, ce la fa da sola, non fa errori, non fa stronzate. Anch'io mi sono un po' stufata. Un bel po'. 💜
Leggere tutti questi commenti e la tua newsletter è stato terapeutico. Anni fa scrivevo: "il più grande fraintendimento della mia vita è che mi abbiano fatto credere di essere piú intelligente della media". Potrei aver scritto buona parte delle tue parole. Grazie ❤️
Ma vedi che siamo state separate alla nascita? Condannate a essere ABBASTANZA intelligenti. Ti mando un abbraccio, se lo vuoi. E continuo a leggerti, tu continua a scrivere. 💜
Molto interessante. Mi ci riconosco a tratti. Il liceo, per me, è stato un inferno.
Aggiungo che, spesso, la plus dotazione porta anche a disturbi specifici dell’apprendimento che, se non diagnosticati in tempo, minano fortemente l’autostima di bambin* e ragazz* che hanno un modo di apprende e di immagazzinare il sapere diverso dai normo-dotati.
Si questo argomento consiglio di leggere Proust e il calamaro di Maryanne Wolf
Ora vorrei scrivere anche io un post così ma mi sono talmente tanto identificata nel tuo racconto che il mio potrebbe risultare solamente una copia. Grazie per questo post.
Monica, grazie! So che non racconto niente di nuovo. Ma visto che mi sono sentita tanto sbagliata per tanto tempo, spero che con i miei racconti (i "cazzi miei" che nomino qua e là presentando questa newsletter) alcune persone si sentano proprio come ti sei sentita tu. Un po' vista, un po' meno sbagliata, un po' più "normale".
e non esagero dicendo che hai praticamente dato voce a tutta una serie di pensieri e ricordi che solo ora a 20 anni inizio a far ritornare a galla, proprio per dei problemi ed insicurezze causate da quell’essere molto fintamente prodigio. grazie❤️
Capisco perfettamente, forse sono io che non mi sono spiegata bene. Ciascuno ha il sacrosanto diritto di conoscersi, di cercare e, auspicabilmente, avere risposte. Quello su cui non mi trovi d'accordo è la "bolla di percezione". Non credo più sia una bolla sai? Mi è capitato recentemente davvero spesso di leggere battute sarcastiche sulle neurodivergenze, e al di fuori di qualsiasi "bolla" (nello specifico, su quell'orrendo social che è X), pregiudizi bastati proprio sul numero enorme di coming out di neurodivergenza. Per quanto mi riguarda, dopo anni a sentirmi invalidata nel mio percorso e nella mia diagnosi, leggere queste battute e questo sarcasmo (mi riferisco ai commenti che leggo in giro) mi deprime e infastidisce, e mi fa un po' perdere il senso del mio percorso, sudato e pagato a caro prezzo, come ben sai. La verità è che, in fondo, mi conoscevo anche prima. Forse è la disillusione data da una diagnosi non più recente a rendermi più inacidita e meno entusiasta, non lo so. In ogni caso felicissima per te! ❤️
Oh, ora capisco meglio! X e Facebook sono una fogna, non li frequento più da anni. Sul numero di persone che hanno qualche tipo di diagnosi neuropsicologica, in realtà, leggevo da qualche parte che sono tipo il 7% della popolazione. Secondo me, per la mia esperienza, è facile che persone in ruoli rilevanti, artistici o creativi o di leadership abbiano qualche tipo di neurodivergenza, quindi forse la percezione che siano di più è data anche da questa cosa, chissà. Posso immaginare anche la tua frustrazione. Come anch'io mi sono resa conto che alcune neurodivergenze sono più fighe e alla moda di altre. L'ADHD che viene dipinto come un superpotere. L'alto potenziale cognitivo ancora di più... Quello che mi auguro, e che mi auguro anche con i miei racconti, è che queste condizioni vengano da un lato normalizzate, e dall'altro previste. Vorrei che si insegnasse in modo differenziato a scuola. Vorrei che le aziende capissero che per alcune persone lavorare da casa, o per progetti e non per ore, non sono capricci ma necessità. Vorrei che ci fossero tutele anche dopo i 18 anni. Cose così. Da società civile.
Ho la colpa innata di essere nato maschio (si sa che per i maschi è tutto facile) ma mi sono riconosciuto molto, anche se non ho finito di leggere, perché ho la soglia di attenzione di un uccellino. Sono arrivato alla conclusione che nella società di oggi essere intelligenti e pensare con la propria testa è un handicap, meglio essere cerebrolesi e fare parte della massa.
Mh, non avrei usato queste parole, che trovo estremamente violente e offensive. In quello che scrivo cerco proprio di demistificare l'intelligenza cognitiva, alta o bassa che sia.
Tutte le bambine precoci che conosco hanno una newsletter, sono attiviste di qualchecosa e soffrono terribilmente per la loro sensibilità. Ah, e ovviamente sono precarie, alla faccia del "questa da grande non ci darà preoccupazioni". Abbracciamoci ❤️🩹
Quanto ha ragione! Io sono letteralmente circondata di "ex bambine precoci". Perché alla fine ci riconosciamo, e ci stringiamo insieme, sì. Sorellanza, che bella parola. ❤
Mi sa che substack si è mangiato il commento che stavo scrivendo, dicevo: leggendoti stavo pensando questa cosa (oltre a ovviamente 'tutto vero, tutto giusto, che strazio di fatica'): anche io ricordo di avere realizzato - anche se non era veramente una realizzazione, perché non era un fatto oggettivo, stavo interiorizzando un'idea - di essere brutta, bruttissima, quindi tanto valeva essere quella intelligente. Ma veramente presto. Ecco, mi chiedo quanto abbia influito in questo nostro abbracciare a peso morto e con tutte le conseguenze nefaste future del caso questa caratteristica a scapito di tutte le altre il fatto di essere state cresciute dentro una cultura del corpo per niente accogliente e molto giudicante. Perché poi guardi queste foto di bambine e non ti capaciti da dove possa essere venuta questa credenza fortissima e radicata così profondamente, perché di sicuro non viene dal dato di fatto oggettivo.
Già. Io credo di aver abbracciato l'intelligenza perché nella mia famiglia la bellezza era considerata un disvalore, una cosa vacua e superficiale, da ragazza “poco seria”. Quello spazio è stato occupato da mia sorella minore, che al contrario mio è stata cresciuta convinta di non essere molto intelligente - solo perché non andava bene a scuola. Non so a chi è andata meglio. 🥹
Anche io ricordo benissimo questi “abiti” che a un certo punto venivano cucite addosso a noi bimbe: bella e stupida/brutta e intelligente. Io, che sono stata fino alla maturità senza fatica la prima della classe (non ho fatto mai nessun percorso diagnostico), sono rapidamente stata messa nel calderone 2. Sicuramente alle bimbe messe nel primo non è andata meglio, in ogni caso credo pesi tantissimo nello sviluppo della personalità creando quelle fragilità di cui si parla nell’estratto che citi. Grazie davvero per queste riflessioni
io stavo dall'altra parte, nel senso che insegno ho insegnato alle scuole medie.
E naturalmente mi sono capitate persone molto dotate (più spesso ragazzine che ragazzini, ma parlo solo per me).
La questione della certificazione per me è importante e scottante.
Importante perché bisognerebbe ritagliare percorsi davvero personalizzati.
Scottante perché è una questione per cui bisogna anche proteggere le persone, ragazzine o ragazzine.
Evitare, per esempio, che diventi uno stigma.
Per anni si è lavorato (e anche molto bene) sulla disabilità.
E oggi i bimbi le bimbe hanno imparato a accettare una diagnosi in modo più sereno.
Anche grazie al tanto lavoro fatto.
Pare un accostamento strano, ma le etichette, di qualunque tipo, non sono immediatamente accettate, o accettabili.
Aggiungo che pochi anni fa la mamma di una mia studentessa mi volle parlare del suo figlio minore.
Per i primi tre anni delle primarie era passato per un semi deficiente, che si distraeva dopo pochi minuti.
Poi la mamma mi chiese qualcosa, poi si informò, lo portò a Padova, venne certificato.
Plusdotazione.
Risultato: dopo pochi giorni le arrivò una comunicazione dall'Austria.
Sì, Austria.
Se i genitori avessero voluto potevano portare il bimbo là.
Loro si sarebbero occupati di tutto.
Programmi tarati su di lui, scuole, ospitalità.
Accoglienza.
Tutto gratuitamente, chiaro
In Austria.
Qui?
Praticamente nulla.
Parlo sempre di quel che conosco.
Ora alcune scuole dicono che hanno percorsi personalizzati, ma.
Ma mia moglie ha avuto fino all'anno scorso una bimba chiaramente plusdotata.
Ha parlato con i genitori, l'hanno portata a Padova, certificata.
Poi dove iscriverla alle medie?
Una scuola si è detta pronta, adeguata, con dei percorsi personalizzati.
L'hanno iscritta lì.
Ma poi poco, quasi nulla.
Stiamo perdendo molto.
E non facciamo abbastanza.
Nè per il loro cervello, né per la loro crescita, né per la loro salute mentale.
E neppure per noi, per il nostro futuro che potrebbe "dopodomani" trarre vantaggi dalle loro qualità.
Grazie per questa esperienza preziosissima per me. Sto tenendo un corso di Universal Design for Learning e mi sto rendendo conto di quanto ancora purtroppo dipenda dalla buona volontà della singola o del singolo docente. Ed è un peccato enorme, come dici tu. Io ho avuto la fortuna di avere insegnanti che mi davano attività in più per non farmi annoiare, ma sono sconcertata che dopo 30-35 anni si insegni ancora come hanno insegnato a me. Senza contare lo stigma che hanno le certificazioni per molte e molti docenti e genitori, ancora oggi. 🥹
per altre ragioni ho imparato che la buona volontà non serve, serve la competenza specifica…
Credo che alla base ci sia un profondo bisogno di essere capiti da altri esseri umani e di poter condividere le proprie scoperte. Quando sei plusdotato, alcune cose ti risultano sorprendentemente facili, ma non lo fai per vantarti o per rinfacciare qualcosa: semplicemente, succede. Il problema nasce quando qualcun altro — spesso un superiore — insiste che “non si può fare” o che “bisogna fare in un altro modo”, anche se tu hai appena dimostrato il contrario. Forse è anche per questo che per molti di noi è difficile mantenere un lavoro “normale”.
Io sono nata nel ’77: molte cose che gli altri trovavano complicate per me erano intuitive, mentre a volte fallivo clamorosamente in cose considerate semplici. È una dinamica bizzarra. Per dire: all’università l’esame più semplice del corso l’ho dovuto rifare sette volte - alla fine ho passato grazie alla pietà del professore.
Ai miei tempi non si parlava di plusdotazione: se a due anni conoscevi l’alfabeto e a quattro sapevi leggere, scrivere e fare i conti, al massimo eri visto come un po’ strano. Non si faceva nulla per supportarti: magari ti iscrivevano a più attività contemporaneamente per tenerti impegnato. E ancora oggi, se non studio o non faccio qualcosa di stimolante, rischio di cadere in depressione. Ciclicamente soffro di disforia, soprattutto per quella frattura dolorosa tra ciò che vorrei comunicare, ciò che effettivamente riesco a trasmettere e ciò che gli altri riescono a percepire.
Per me, questa dotazione non è solo un privilegio personale: vorrei che fosse a servizio anche degli altri. La vedo come un talento che, per esprimersi pienamente, deve essere utile sia a me sia al mondo intorno a me.
Forse è proprio questo il punto più doloroso e insieme più prezioso della neurodivergenza: portiamo dentro un linguaggio e una visione che non sempre trovano corrispondenza fuori. Eppure, è lì che sta il nostro contributo più grande: nel cercare di costruire ponti tra mondi diversi, anche quando la fatica è enorme. Parlare di plusdotazione non è una moda, ma un modo per riconoscere il valore e le sfide reali di chi vive con un pensiero “fuori scala”.
Grazie per questo commento così preciso e profondo. È esattamente così anche per me. Metà della frustrazione deriva dal fatto di sentire che il mio potenziale non è messo a frutto. Così mi sono sempre sentita nei lavori che ho fatto da dipendente, e anche in alcuni lavori da freelance. Ora sento di riuscire a fare qualcosa di significativo per il mondo, e spero di continuare a farlo. Grazie 💜
Grazie a te! E al tuo operare.
A mio avviso mancano nelle scuole programmi pensati per chi ha la settima marcia. Così come esistono riduzioni o aiuti per i DSA, non vedo perché non offrire di più a chi può andare oltre.
Purtroppo, quando insegnavo (uno dei mille lavori che ho fatto), avevo diverse classi con studenti plusdotati e mi ero offerta di tenere gratuitamente lezioni avanzate di chimica. Mi dissero che li avrei ghettizzati. E, ciliegina, aggiunsero che “una persona troppo intelligente può essere pericolosa”… ma qui, forse, è colpa della cultura pop, abituata a immaginare solo i cervelloni pazzi delle serie TV.
Grazie per questa lettura, mi ci riconosco molto ma, contemporaneamente, mi riconferma anche l'estraneità che ho provato allora e provo anche oggi nei confronti del tema.
Io faccio parte di quella percentuale di plusdotati sfigati che si sono fatti accademicamente detonare in giovane età. Ho preso il diploma alle scuole serali a 26 anni e non mi sono mai laureata, cosa che genera sempre un certo stupore (sono una scrittrice e manager in un'organizzazione internazionale, i miei colleghi del resto del mondo hanno tutti curriculum scolastici stellari). La scuola per me non è mai stata un metro di auto misurazione, non l'ho mai potuta soffrire e non nutrivo nessun interesse nel "mostrarmi brava". Semmai, il contrario.
Naturalmente, ogni caso è a se. Nel mio c'erano comorbilità importanti con depressione infantile e una situazione socio-economica molto difficile (per cultura e necessità, i miei volevano solo che andassi a lavorare il prima possibile), che mi hanno direzionata altrove. Mi rende sempre un po' malinconica constatare che, neanche in questo momento di consapevolezza collettiva su questi temi, io riesca a sentirmi "parte di". Forse non è proprio destino ahah.... comunque nulla, volevo lasciare questa traccia per amor di conversazione!
Grazie, Eleonora. Ogni voce è importante, per me, in questo momento di scoperta e riscoperta. Credo che la situazione socio-economica di partenza abbia un peso notevole, come sempre. E pure le co-occorrenze, ed eventuali traumi infantili, e successivi. Per me sei un esempio positivo, meravigliosamente positivo: Io mi sono persa dopo di te, e anche se ho un dottorato preso con pochissima convinzione e tantissima fatica sto ancora cercando di ritrovarmi, lavorativamente e anche affettivamente (anche se so di dare un'immagine di “successo”, finché non riuscirò a essere economicamente indipendente da sola non mi considererò davvero in grado di navigare nel mondo degli adulti). Quindi, ancora, grazie per aver condiviso questa esperienza. 💜 E tanti arcobaleni per tutti i tuoi progetti meravigliosi!
Grazie mille, cara Elena!
Leggevo la parte sulla tua scuola elementare e pensavo: be’ dai almeno un’amica ce l’avevo e ci passavo insieme tutti i pomeriggi. Ehm: è una persona autistica (valutata da adulta), strano che stessimo così bene insieme :)
Hahaha adoro! Io avevo alcune persone di cui volevo essere amica, e che dicevo fossero le mie migliori amiche, ma in realtà per loro non era così. Me ne sono resa conto da grandicella, per fortuna. E poi avevo alcune amiche che però ho un po' perso subito. Il fatto che i miei non mi facessero quasi mai frequentarle il pomeriggio ha influito. Ma ai tempi non si usava tanto. Credo.
Ho sentito questa newsletter nelle ossa.
Non ne parliamo mai, perché non è elegante. Ma le storie di noi "bambine precoci" sono molto simili tra loro, me ne sto accorgendo ora che ne inizio a parlare. Eravamo bambine, per quanto stronze e saputelle. Ci siamo cresciute da sole. Siamo state brave. ❤
Leggendo questo post ha risuonato in me fortissimo in più parti. Ricordo ancora quanto mi turbasse alle elementari quando la maestra pretendeva che il giorno dopo fossi io a spiegare i problemi di geometria assegnati per casa alla lavagna. Al pomeriggio mi saliva un'ansia incredibile e non capivo perché dovessi avere quel ruolo a solo otto anni, e non mi fosse concesso di non capire a volte come tutti gli altri (nota di merito a mia madre che intervenne più volte in merito per ricordare alla maestra che tutta quella responsabilità non mi giovasse). Poi alle medie mal di pancia forti diventati invalidanti (proprio come i tuoi mal di testa) e causati dal solo pensiero di non riuscire a fare tutto bene sempre. E via così, nel mio percorso scolastico e poi universitario c'è sempre stata una componente di malessere fisico e mentale nonostante amassi tantissimo studiare, sempre collegata all'immagine di brava bravissima da preservare. Ora che mi trovo dall'altra parte della cattedra sto sempre ben attenta a che non ci siano etichette attaccate su ragazze e ragazzi, che abbiano lo spazio per essere incredibilmente brillanti ma anche per sbagliare senza che questo sia un dramma ma anzi un'occasione. Credo sia importante guidarli nella non facile esperienza di conoscersi, nella possibile leggerezza di essere mille cose insieme tutte diverse e tutte ugualmente di valore.
Grazie per questa tua condivisione. Io credo che le diagnosi, e le etichette, paradossalmente possano aiutare a non sentirsi strane, o eccezionali. E possano aiutare gli adulti a capire cosa succede e a mitigare gli effetti di qualche caratteristica. Continuo a chiedermi come sarei stata se avessi fatto la primina, se avessi avuto intorno adulti meno adoranti e più comprensivi. Oggi per fortuna ci sono persone come te. 💜
Sono assolutamente d'accordo con te, io parlavo di etichette fittizie che "recintano" chi puoi essere e ti chiudono in quella definizione fittizia lì senza aiutarti a capire. Fondamentali le diagnosi e fornire gli strumenti adatti ai più piccoli e alle più piccole (ma non solo) per capire chi sono e abitare quel loro essere con consapevolezza e senza sentirsi fuori posto o incompresi/e. Un abbraccio alla te bimba 💕
Sì, sì, l'avevo capito! 💜🫶🏻 Grazie. 🥹
Mi fa un po' male e un po' bene questa newsletter. Mi ritrovo in quasi tutto quello che dici e mi viene da piangere. Quasi perché a me dei bei voti e di essere la migliore della classe non è mai fregato niente, anzi io volevo essere come tutti! Saper leggere e scrivere a 3 anni, parlare correntemente in 2 lingue, scrivere poesie e racconti quando gli altri bambini razzolavano in giro ha ben presto smesso di essere normale per diventare un peso. Mi sono rifiutata di parlare in francese fino alle scuole medie perché gli altri bambini mi prendevano in giro. Non avevo praticamente amici, ero isolata. Ma io mi ritenevo superiore, sapevo di essere intelligente (me lo dicevano tutti, no?) e questa consapevolezza, rafforzata dalla grande importanza che gli davano i miei genitori, mi faceva "bene". O forse no, mi teneva solo lontana, disconnessa dalle mie emozioni che non potevano mai essere mostrate, perché io ero forte, una roccia. Ci ho messo decenni a buttare giù i muri che avevo creato per difendermi, tutto da sola perché "io ce la faccio". Ecco ora forse mi sono stufata di fare tutto da sola. Grazie.
Paola, grazie. Capisco tanto bene. Abbiamo alzato barriere diverse per difenderci, e quanto lavoro dopo. Anch'io sempre quella forte, quella indipendente, quella che non ha bisogno di aiuto perché è in gamba, ce la fa da sola, non fa errori, non fa stronzate. Anch'io mi sono un po' stufata. Un bel po'. 💜
Leggere tutti questi commenti e la tua newsletter è stato terapeutico. Anni fa scrivevo: "il più grande fraintendimento della mia vita è che mi abbiano fatto credere di essere piú intelligente della media". Potrei aver scritto buona parte delle tue parole. Grazie ❤️
Ma vedi che siamo state separate alla nascita? Condannate a essere ABBASTANZA intelligenti. Ti mando un abbraccio, se lo vuoi. E continuo a leggerti, tu continua a scrivere. 💜
Molto interessante. Mi ci riconosco a tratti. Il liceo, per me, è stato un inferno.
Aggiungo che, spesso, la plus dotazione porta anche a disturbi specifici dell’apprendimento che, se non diagnosticati in tempo, minano fortemente l’autostima di bambin* e ragazz* che hanno un modo di apprende e di immagazzinare il sapere diverso dai normo-dotati.
Si questo argomento consiglio di leggere Proust e il calamaro di Maryanne Wolf
Grazie di cuore, Marianna, ce l'ho in libreria da una vita. Dovrei proprio leggerlo!
Substack, il tuo algoritmo mi conosce meglio di quanto pensassi.
AHHHHHHHHHHH un'altra bambina precoce a rapporto? (Posso dire che non avevo dubbi? 💜)
Ora vorrei scrivere anche io un post così ma mi sono talmente tanto identificata nel tuo racconto che il mio potrebbe risultare solamente una copia. Grazie per questo post.
Monica, grazie! So che non racconto niente di nuovo. Ma visto che mi sono sentita tanto sbagliata per tanto tempo, spero che con i miei racconti (i "cazzi miei" che nomino qua e là presentando questa newsletter) alcune persone si sentano proprio come ti sei sentita tu. Un po' vista, un po' meno sbagliata, un po' più "normale".
davvero davvero davvero bellissimo tutto, complimenti.
e non esagero dicendo che hai praticamente dato voce a tutta una serie di pensieri e ricordi che solo ora a 20 anni inizio a far ritornare a galla, proprio per dei problemi ed insicurezze causate da quell’essere molto fintamente prodigio. grazie❤️
Grazie, Tommaso. È proprio questo: eravamo bambine e bambini, non prodigi. 10 anni di terapia per far uscire questo, per me. 😹
terapia che palesemente sta aspettando anche me dietro l’angolo
Capisco perfettamente, forse sono io che non mi sono spiegata bene. Ciascuno ha il sacrosanto diritto di conoscersi, di cercare e, auspicabilmente, avere risposte. Quello su cui non mi trovi d'accordo è la "bolla di percezione". Non credo più sia una bolla sai? Mi è capitato recentemente davvero spesso di leggere battute sarcastiche sulle neurodivergenze, e al di fuori di qualsiasi "bolla" (nello specifico, su quell'orrendo social che è X), pregiudizi bastati proprio sul numero enorme di coming out di neurodivergenza. Per quanto mi riguarda, dopo anni a sentirmi invalidata nel mio percorso e nella mia diagnosi, leggere queste battute e questo sarcasmo (mi riferisco ai commenti che leggo in giro) mi deprime e infastidisce, e mi fa un po' perdere il senso del mio percorso, sudato e pagato a caro prezzo, come ben sai. La verità è che, in fondo, mi conoscevo anche prima. Forse è la disillusione data da una diagnosi non più recente a rendermi più inacidita e meno entusiasta, non lo so. In ogni caso felicissima per te! ❤️
Oh, ora capisco meglio! X e Facebook sono una fogna, non li frequento più da anni. Sul numero di persone che hanno qualche tipo di diagnosi neuropsicologica, in realtà, leggevo da qualche parte che sono tipo il 7% della popolazione. Secondo me, per la mia esperienza, è facile che persone in ruoli rilevanti, artistici o creativi o di leadership abbiano qualche tipo di neurodivergenza, quindi forse la percezione che siano di più è data anche da questa cosa, chissà. Posso immaginare anche la tua frustrazione. Come anch'io mi sono resa conto che alcune neurodivergenze sono più fighe e alla moda di altre. L'ADHD che viene dipinto come un superpotere. L'alto potenziale cognitivo ancora di più... Quello che mi auguro, e che mi auguro anche con i miei racconti, è che queste condizioni vengano da un lato normalizzate, e dall'altro previste. Vorrei che si insegnasse in modo differenziato a scuola. Vorrei che le aziende capissero che per alcune persone lavorare da casa, o per progetti e non per ore, non sono capricci ma necessità. Vorrei che ci fossero tutele anche dopo i 18 anni. Cose così. Da società civile.
Ho la colpa innata di essere nato maschio (si sa che per i maschi è tutto facile) ma mi sono riconosciuto molto, anche se non ho finito di leggere, perché ho la soglia di attenzione di un uccellino. Sono arrivato alla conclusione che nella società di oggi essere intelligenti e pensare con la propria testa è un handicap, meglio essere cerebrolesi e fare parte della massa.
Mh, non avrei usato queste parole, che trovo estremamente violente e offensive. In quello che scrivo cerco proprio di demistificare l'intelligenza cognitiva, alta o bassa che sia.
Addirittura… Ormai pure “il cielo è blu” è violento e offensivo.
E non si può più dire niente, e non ci sono più le mezze stagioni. 😉