Questa lettera, leggermente più lunga del solito, parla un po' di geografia, un po' di emozioni, un po' di morte. Il mio umorismo è dark, e ogni tanto mi scappa una battuta, ti avviso.
Per quanto possa essere un racconto personale, le tue parole mi hanno dato un senso di casa. Un senso di "caspita, ma anche per me è così".
Anch'io sono originaria di un paesino. O meglio, un paesino che valeva come una città ma che ora è tornato a essere paesino. Ogni volta che torno, mi sento addosso gli sguardi e sento le parole del tipo "ma quella lì non è la figlia di... e non viveva distante?". Ecco, cose così.
Uno dei posti che costituisce diversi significati emotivi, per me, è un piccolo paese che si chiama Avigliano Umbro.
Quando ci arrivai la prima volta, cinque anni fa, lo feci perché ero innamorata di una persona che viveva lì vicino. Ci passai l'estate e, con la fine dell'estate, arrivò anche la fine di quella relazione. Sembra una storia da quindicenni ma è avvenuta quando ne avevo 42. La percezione di quel luogo, però, è cambiata col mio cambiare.
Avigliano è casa lontano da casa: è una parte della mia anima e ora è qualcosa di puramente mio.
Così mio che faccio fatica a condividerlo con chi, invece, fa parte della mia vita ora.
anche se per ragioni di gran lunga molto meno traumatiche di quelle che ti hanno fatto riappropriare di luoghi come Berlino o allontanare da posti come Mestre, negli ultimi anni ho rinegoziato il mio rapporto con Trieste. ho vissuto i quattro anni di dottorato là con un senso di fallimento e di essere nel posto sbagliato, sia perché avevo il moroso a modena, e quindi volevo sempre scappare là, sia perché mi ritenevo incapace e di non meritare di essere in quella scuola con tutte quelle persone intelligentissime e bravissime. negli anni subito successivi l'ho scansato, sentendolo come un luogo (e un tempo) di occasioni perdute. ora è il posto dove ogni anno torno a fare una cosa che amo, che ho cominciato a fare pochi anni fa e che non c'entra assolutamente nulla né con il dottorato né con il lavoro: correre (la magnifica mezza maratona che parte da Duino e arriva in piazza Unità). ora Trieste l'associo alla primavera, allo spazio esperito con gioia e fatica metro dopo metro e so che è bello per me tornarci qualche giorno, ma è ok che non ci viva più.
Un esempio perfetto di risignificazione emotiva di un luogo. Sono felice, da amante di Trieste, che tu abbia trovato il modo di riavvicinartici facendo una cosa che ami tantissimo poi!
mi riconosco in tante delle cose che hai scritto, anche se a cambiare la mia geografia emotiva non è stato un lutto, ma la fine di una relazione: quattro anni fa ho perso un amore durato oltre dieci anni.
Quando G. è diventato “il mio ex”, quella X si è inscritta grande sulla cartina geografica all’altezza di Belluno. Sì, proprio la tua Belluno - che coincidenza, no?
Di Belluno ho ricordi luminosi, altri innevati, altri nuovolsi, tutti ormai lontani, tutti legati a G., che ci è cresciuto, e alle persone che ho conosciuto grazie a lui. Non ci sono mai più tornata. Ma mi piacerebbe, per vedere se possiamo essere un po’ amiche anche senza di lui.
Trieste ha il pezzetto più grande del mio cuore. Ci siamo conosciuti lì, io e G., perché entrambi ci siamo andati a studiare. Ma di Trieste mi sono innamorata molto prima che di lui. Ci sono tornata un anno dopo la rottura, per fare pace, perché anche se lui ci vive ancora e io no, Trieste era ed è troppo importante per permettermi di perderla. È il posto in cui ho costruito alcune delle mie più grandi amicizie, in cui ho studiato qualcosa che mi appassionava e ho trascorso forse gli anni più felici della mia vita finora, con i miei bellissimi amici dell’università prima ancora che con lui.
A Vicenza sono nata e cresciuta, lì ci sono i miei genitori, in teoria ci sono le mie “radici”, anche se non riesco tanto a sentirla, questa cosa qua. Non ci vado spesso, ora che la mia vita è quasi tutta altrove, ma è e sarà per sempre la mia famiglia di origine.
E poi c’è Zurigo, il posto in cui vivo da nove anni, che per me è stato un rifugio prezioso quando il mio legame con G., che mi riportava continuamente in Italia, si è spezzato. Zurigo mi ha avvolta in una coperta confortevole. Uno non se lo immaginerebbe pensando alla Svizzera tedesca, e invece.
E invece qui mi accorgo ogni giorno di quanto mi piaccia vivere.
E mi chiedo quali luoghi, qui, stanno diventando emotivamente di parte, senza che nemmeno me ne accorga, mentre scrivo altre storie e ricordi.
A salvarmi il cuore è stata, però, la piccolissima isola di Levanzo, dove dopo un lungo periodo di burrasca, mi sono sentita di nuovo felice, in pace. Levanzo è il posto che mi mette a posto.
Anche io potrei continuare, ma mi fermo qui.
Grazie per le cose belle che scrivi, e per avermi dato l’ispirazione per scrivere un po’ anche io.
Per quanto possa essere un racconto personale, le tue parole mi hanno dato un senso di casa. Un senso di "caspita, ma anche per me è così".
Anch'io sono originaria di un paesino. O meglio, un paesino che valeva come una città ma che ora è tornato a essere paesino. Ogni volta che torno, mi sento addosso gli sguardi e sento le parole del tipo "ma quella lì non è la figlia di... e non viveva distante?". Ecco, cose così.
Uno dei posti che costituisce diversi significati emotivi, per me, è un piccolo paese che si chiama Avigliano Umbro.
Quando ci arrivai la prima volta, cinque anni fa, lo feci perché ero innamorata di una persona che viveva lì vicino. Ci passai l'estate e, con la fine dell'estate, arrivò anche la fine di quella relazione. Sembra una storia da quindicenni ma è avvenuta quando ne avevo 42. La percezione di quel luogo, però, è cambiata col mio cambiare.
Avigliano è casa lontano da casa: è una parte della mia anima e ora è qualcosa di puramente mio.
Così mio che faccio fatica a condividerlo con chi, invece, fa parte della mia vita ora.
anche se per ragioni di gran lunga molto meno traumatiche di quelle che ti hanno fatto riappropriare di luoghi come Berlino o allontanare da posti come Mestre, negli ultimi anni ho rinegoziato il mio rapporto con Trieste. ho vissuto i quattro anni di dottorato là con un senso di fallimento e di essere nel posto sbagliato, sia perché avevo il moroso a modena, e quindi volevo sempre scappare là, sia perché mi ritenevo incapace e di non meritare di essere in quella scuola con tutte quelle persone intelligentissime e bravissime. negli anni subito successivi l'ho scansato, sentendolo come un luogo (e un tempo) di occasioni perdute. ora è il posto dove ogni anno torno a fare una cosa che amo, che ho cominciato a fare pochi anni fa e che non c'entra assolutamente nulla né con il dottorato né con il lavoro: correre (la magnifica mezza maratona che parte da Duino e arriva in piazza Unità). ora Trieste l'associo alla primavera, allo spazio esperito con gioia e fatica metro dopo metro e so che è bello per me tornarci qualche giorno, ma è ok che non ci viva più.
Un esempio perfetto di risignificazione emotiva di un luogo. Sono felice, da amante di Trieste, che tu abbia trovato il modo di riavvicinartici facendo una cosa che ami tantissimo poi!
Cara Elena,
mi riconosco in tante delle cose che hai scritto, anche se a cambiare la mia geografia emotiva non è stato un lutto, ma la fine di una relazione: quattro anni fa ho perso un amore durato oltre dieci anni.
Quando G. è diventato “il mio ex”, quella X si è inscritta grande sulla cartina geografica all’altezza di Belluno. Sì, proprio la tua Belluno - che coincidenza, no?
Di Belluno ho ricordi luminosi, altri innevati, altri nuovolsi, tutti ormai lontani, tutti legati a G., che ci è cresciuto, e alle persone che ho conosciuto grazie a lui. Non ci sono mai più tornata. Ma mi piacerebbe, per vedere se possiamo essere un po’ amiche anche senza di lui.
Trieste ha il pezzetto più grande del mio cuore. Ci siamo conosciuti lì, io e G., perché entrambi ci siamo andati a studiare. Ma di Trieste mi sono innamorata molto prima che di lui. Ci sono tornata un anno dopo la rottura, per fare pace, perché anche se lui ci vive ancora e io no, Trieste era ed è troppo importante per permettermi di perderla. È il posto in cui ho costruito alcune delle mie più grandi amicizie, in cui ho studiato qualcosa che mi appassionava e ho trascorso forse gli anni più felici della mia vita finora, con i miei bellissimi amici dell’università prima ancora che con lui.
A Vicenza sono nata e cresciuta, lì ci sono i miei genitori, in teoria ci sono le mie “radici”, anche se non riesco tanto a sentirla, questa cosa qua. Non ci vado spesso, ora che la mia vita è quasi tutta altrove, ma è e sarà per sempre la mia famiglia di origine.
E poi c’è Zurigo, il posto in cui vivo da nove anni, che per me è stato un rifugio prezioso quando il mio legame con G., che mi riportava continuamente in Italia, si è spezzato. Zurigo mi ha avvolta in una coperta confortevole. Uno non se lo immaginerebbe pensando alla Svizzera tedesca, e invece.
E invece qui mi accorgo ogni giorno di quanto mi piaccia vivere.
E mi chiedo quali luoghi, qui, stanno diventando emotivamente di parte, senza che nemmeno me ne accorga, mentre scrivo altre storie e ricordi.
A salvarmi il cuore è stata, però, la piccolissima isola di Levanzo, dove dopo un lungo periodo di burrasca, mi sono sentita di nuovo felice, in pace. Levanzo è il posto che mi mette a posto.
Anche io potrei continuare, ma mi fermo qui.
Grazie per le cose belle che scrivi, e per avermi dato l’ispirazione per scrivere un po’ anche io.
Grazie Anna, che emozione leggere le tue geografie emotive.