03. Nascere di nuovo
A 41 anni, grazie a una diagnosi di ADHD e alto potenziale cognitivo. E depressione, DOC, ansia. Quante risposte, per il mio povero cervello inquieto. Ma ora posso provare a impararmi di nuovo.
Lunedì 10 febbraio 2025, verso l’ora di pranzo, ho ricevuto la diagnosi di ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività/impulsività) e alto potenziale cognitivo. Avevo iniziato il percorso diagnostico a inizio dicembre 2024. In 7 ore complessive, spalmate in 2 mesi, uno psicologo mi ha fatto un botto di domande, mi ha sottoposto infiniti test, e alla fine mi ha detto: “Sì, il tuo sospetto era fondato”. Ho un cervello strano, e ora ne ho le prove1.
Tutto è iniziato diversi anni fa, con Federico. Quando Eleonora Marocchini, psicolinguista e comunicatrice della scienza, ha pubblicato un video su Instagram in cui raccontava che era autistica, io ho iniziato a unire puntini. Fino ad allora avevo un’idea dell’autismo alla “Forrest Gump” o alla “Rain Man”. Ricordo che la prima volta che mia madre aveva conosciuto Federico, circa 15 anni fa, mi aveva presa da parte e mi aveva detto: “Mah, non mi piace tanto. Se ne sta sempre da solo, si allontana quando è in mezzo a tante persone. Mi sembra un po’ autistico”. E io mi ero arrabbiata moltissimo, perché avevo capito che “autistico” per lei era un insulto, e lo era un po’ anche per me.
Ma Eleonora stava finendo il suo dottorato di ricerca, e aveva un aspetto completamente diverso da quello che secondo me (e secondo mia madre) dovevano avere le persone autistiche. Innanzitutto era una donna, o comunque era socializzata come tale. E poi era intelligente, molto. Spiritosa. Brillante. Curiosa. Aperta, comunicativa. Tutte caratteristiche, queste, che aveva anche Federico. Insieme a molte altre, che mi avevano fatto nascere il sospetto che fosse autistico anche lui. Gliene avevo parlato, chiedendogli di pensare di intraprendere un percorso diagnostico: “Sono 10 anni che, a fasi alterne, mi sento sbagliata con te, e tu ti senti sbagliato con me. Magari stiamo solo parlando 2 lingue diverse”. Lui mi aveva detto che non era interessato a indagare la cosa, in quel momento, e la discussione era finita lì. E poi è morto, quindi il dubbio mi resterà.
In questi 3 anni e mezzo ho studiato molto. Ho letto, ho parlato con tante persone. Ne ho conosciute molte di nuove. E dopo un po’ ho notato un pattern: erano quasi tutte neurodivergenti, in qualche modo. Cioè avevano un funzionamento neurologico atipico. Cervelli strambi. Alcune autistiche, alcune con ADHD, alcune entrambe le cose (si dice AuDHD, l’ho scoperto grazie a loro), alcune dislessiche, disgrafiche, discalculiche. Ho iniziato a farmi 2 domande, anche in terapia. Me le ha fatte anche mia mamma, quando le raccontavo delle mie nuove amicizie: “Ma amore, come mai sono tutte autistiche le tue amiche?”. Nel frattempo, negli ultimi anni, lo stigma intorno a questa condizione è diminuito, anche se non ancora del tutto, e non per chiunque. Ma mia mamma ha dovuto ricredersi: mica puoi insultare una persona con una parola, se lei quella parola se la rivendica. E le mie amicizie sono tutte molto felici delle loro diagnosi, e delle loro etichette.
Dopo un po’, parlandone anche in terapia, mi sono legittimata ad avere il dubbio di avere un cervello strambo anch’io. Non puoi essere letteralmente circondata di persone strambe ed essere l’unica di “normale”. O meglio, sì, puoi, ma è quantomeno inusuale. Le persone strambe si scelgono, si frequentano, stanno bene tra loro. Hanno codici comuni, si capiscono. Si comprendono profondamente. Si compensano, si regolano a vicenda. Io con loro ho iniziato a vedere in che modo ero stramba io: organizzazione compulsiva e spesso fallace, memoria totalmente non pervenuta, fortissima logica, insonnia, rapidità estrema di ragionamento, procrastinazione da cardiopalma, terrore di annoiarmi, un cimitero di scatole di hobby passati (dalla calligrafia alle perline, dalla maglia al cake design), momenti di concentrazione talmente forti da non farmi accorgere di nulla che mi succedesse intorno, insonnia, parlantina monopolizzante, tono di voce intenso, disordine estremo, incapacità di mentire o nascondere alcunché, insonnia, senso della giustizia al limite dell’autolesionismo, decennali problemi nel riconoscere “l’autorità”, insonnia l’ho già detto?, malattie croniche varie, attacchi di rabbia incontrollabili, giornate (24 ore alla volta, sì) di sonno profondissimo, emotività lacerante…
Con le mie amicizie, ho iniziato a sentirmi dire: “Ehi, anch’io”.
C’erano persone simili a me, quindi. A parte mia madre, che è come me più di me. Probabilmente lei è stata il principale motivo per cui non ho avuto alcun sospetto, prima di un paio d’anni fa. Le mie stranezze non erano poi così strane, rispetto alle sue. Ero disordinata ma meno di lei, parlavo a voce altissima ma meno di lei, ero sempre in ritardo, ma meno di lei. Con lei ho imparato a odiare i miei “difetti”, che rispecchiavano i suoi ed erano così quotidiani, e ho fatto di tutto per eliminarli, compreso sviluppare un disturbo ossessivo compulsivo (DOC).
C’erano altre persone simili a me, e loro sapevano cos’erano e perché, e avevano sviluppato delle strategie per navigare in questo mondo costruito per gente ordinata e che si ricorda gli appuntamenti e che parla sussurrando e che si alza alle 7 del mattino e va al lavoro e sopporta capi idioti e supponenti e ingiusti, soprattutto ingiusti. Io li avevo mandati a quel paese tutti, uno dopo l’altro, e avevo lasciato tutti quei bei lavori a tempo indeterminato, uno dopo l’altro.
Ci sono altre persone simili a me, e io ora ne ho tante vicino. E anche mia mamma è simile a me, ed è così bello ridere delle nostre dimenticanze, brontolare insieme perché la casa è in disordine, chiederci a vicenda di abbassare la voce.
Questa diagnosi è un nuovo certificato di nascita. Non è cambiato niente, nella mia vita, ma è cambiato tutto. Sta cambiando tutto. Sto smantellando tutte le sovrastrutture che ho costruito in questi anni per funzionare in società, per riuscire a lavorare, ad avere delle relazioni con gente neurotipica. Sto imparando a conoscermi di nuovo, a perdonarmi quando non “performo” come la gente si aspetta che faccia. Sto imparando ad ascoltare le mie esigenze. “Tu hai la tendenza a credere che le altre persone siano tutte più in difficoltà di te”, mi ha detto lo psicologo che mi ha diagnosticato. Sto imparando che anch’io ho le mie difficoltà, e va bene rallentare, e va bene dirlo, non serve dimostrare di essere perfetta, che chi mi vuole bene lo sa che non lo sono e mi vuole bene proprio per questo.
A 41 anni sto nascendo di nuovo, ed è un viaggio faticoso ma bellissimo.
Sono Elena, ma mi chiamano anche Cassandra. Ho la fissa delle parole dacché ho memoria. Parlo di parole (anche di quelle che non esistono) come speaker e moderatrice. Insegno quanto sono potenti in corsi sul linguaggio chiaro e accessibile, responsabile e consapevole, con un focus su età, genere, neurodivergenze, morte, lutto e lavoro. Scrivo di femminismi e giustizia sociale su RSI (Radiotelevisione svizzera). Con l’associazione Caratteri Cubitali mi occupo di accessibilità digitale.
Se vuoi collaborare con me, scrivimi a info@elenapanciera.it.
Ancora qualche consiglio
Il libro di
“Neurodivergente. Capire e coltivare la diversità dei cervelli umani”, uscito l’anno scorso per Tlon. Ma anche il suo canale Instagram @narraction, pieno zeppo di informazioni utilissime sulle neurodivergenze. E la sua newsletter “”.Il podcast di
“Fuori Norma”: una miniera preziosissima di storie di persone per vari motivi fuori dalla norma. Amo particolarmente le puntate a tema neurodivergenze con Sage Tina Iachemet, Majid Capovani, Sofia Gottardi, Elena Canovi (ciao !), Lunny.La newsletter di
sulla vita con l’ADHD: si chiama “” e esce ogni settimana (finché non si stufa 😅).Il podcast di
“Avanti veloce. Viaggio nell’ADHD”. Da farlo ascoltare a chi ti dice: “Su, su, siamo tutty un po’ ADHD”.Il video di Immanuel Casto “Storia delle mie neurodivergenze: esperienze e diagnosi”: oltre mezz’ora in cui racconta di sé in modo onesto, brillante e generoso.
O almeno, un professionista esperto ha validato questo mio sospetto. Consiglio la lettura del capitolo “Autoidentificazione e diagnosi: scontri e incontri all’epoca dei social network” di “Neurodivergente. Capire e coltivare la diversità dei cervelli umani”, di Eleonora Marocchini (Tlon, 2024).
"[...] un nuovo certificato di nascita. Non è cambiato niente, nella mia vita, ma è cambiato tutto. Sta cambiando tutto. Sto smantellando tutte le sovrastrutture che ho costruito in questi anni per funzionare in società, per riuscire a lavorare, ad avere delle relazioni con gente neurotipica. Sto imparando a conoscermi di nuovo, a perdonarmi quando non “performo” come la gente si aspetta che faccia. Sto imparando ad ascoltare le mie esigenze [...]"
La dichiarazione d'amore a se stesse più bella.
"Sto smantellando tutte le sovrastrutture che ho costruito in questi anni per funzionare in società, per riuscire a lavorare, ad avere delle relazioni con gente neurotipica."
Ho notato la tendenza, nelle persone neurodivergenti, a dividere il mondo in due: neurodivergenti e neurotipici. (ecco, l'ho fatto anch'io)
Ma tra i neurotipici ci sono differenze enormi, che condizionano la facilità di ognuno di avere delle relazioni con gli altri. E poi ci sono altre condizioni, non neurologiche o mentali, che influiscono sulla vita delle persone, sulla loro sociabilità.
Non è una polemica, sto cercando di capire un mondo che conosco poco. (e l'ho fatto di nuovo)