08. Quel vuoto d'amore
O è solo una mentalità competitiva ed esclusiva che confligge con tutto ciò in cui credo? Una lettera che fa il giro molto largo e non so bene dove arriva.
Quest’anno ho passato uno dei compleanni più belli della mia vita. Ero in Grecia, da sola. Me ne sono andata per 2 settimane. Ho pianificato la giornata: una gita in macchina, senza meta. Un pranzo improvvisato in una località di mare, una passeggiata al tramonto. Tanto azzurro. La cena prenotata da Kanoula, il ristorante che mi è stato più consigliato a Salonicco, indicando nell’email che era il mio compleanno. Alla fine della cena mi hanno portato un dolce con una candelina. Giuro che non me l’aspettavo - anche se in effetti era prevedibile (mi stupisco io stessa della mia sorpresa, ma so essere molto ingenua per ste cose). Sanno fare il loro mestiere, gli ho lasciato una recensione da 5 stelline scritta con gli occhi lucidi, dopo essermi fatta un video mentre spegnevo la candela con un soffio.
Il fatto di essere stata così bene da sola mi ha fatto molto piacere, ma mi ha dato anche molto da riflettere. Perché sono abituata a ritenermi molto, molto, molto sociale e socievole, e sono circondata da molte persone che chiamo amiche. “Mi sono organizzata un compleanno perfetto. Io mi deludo raramente”, mi sono scoperta a pensare. Che è una cosa meravigliosa, ripeto, una conquista alla quale sono arrivata con tanto lavoro su di me, ma è anche indicativa di come sono stati in media i miei compleanni quando non li ho trascorsi da sola.
La vacanza è proseguita, tra alti e bassi. Sono rientrata in Italia. Belluno, Milano, tante persone, tanti treni. E poi, qualche giorno fa, a settimane di distanza dal 28 aprile, in un momento di particolare fatica emotiva e psicologica, sono crollata. “Ho fatto il conto di quanti regali di compleanno ho ricevuto quest’anno. Ho fatto presto: nessuno”, ho scritto in una storia su Instagram1, dopo una seduta psicologica particolarmente intensa.
Non volevo lamentarmi per il gusto di lamentarmi. Ma durante questa seduta il mio compleanno era assurto a simbolo del mio dolore di non essere vista. Di non essere la prima scelta di nessuna delle persone che amo. Questa delusione di essere un’eterna seconda per i miei affetti si inasprisce ogni natale e ogni compleanno, che nel tempo sono diventate le prove dell’amore che vorrei ma non ricevo. Carico questi 2 giorni di tutte quelle aspettative che riesco a tenere abbastanza a bada i restanti 363, e rimango immancabilmente e irrimediabilmente delusa.
Chissà come mai?
Mia mamma, il 28 aprile, mi ha fatto gli auguri con un messaggio su WhatsApp alle 16:01: “Io e la nonna ti pensiamo, nel giorno del tuo 42esimo”, una foto (un po’ sfocata ma carina, devo riconoscerlo, mia nonna e io qualche anno fa) e un po’ di emoticon.

“To’, si è ricordata - ho pensato acida - e sì che ne ha partorite ben 2, quel giorno”. Certo: perché anche mia sorella è nata il 28 aprile, 3 anni dopo di me. (Non chiedetemi cosa avessero da festeggiare i miei a fine luglio, non ne ho idea e non sono sicura di volerlo sapere.) E così mia sorella mi ha rubato l’unico giorno in cui avrei potuto essere protagonista (a lei è andata peggio: io almeno per 3 anni non ho avuto concorrenza). Da allora, sempre regali a entrambe, sempre feste di compleanno cumulative. Considerando la passione di mia madre per la cucina e l’organizzazione di eventi, non escludo l’ipotesi che ci abbia partorito lo stesso giorno proprio per non dover organizzare 2 feste di compleanno distinte. Finché ci siamo ribellate: prova a mettere insieme seienni fuori di sé e novenni secchione, e capirai perché, probabilmente per l’unica volta nelle nostre vite, mia sorella e io ci siamo coalizzate per comunicare che non volevamo più fare la festa insieme. “Oh, benissimo, allora dall’anno prossimo portate la torta direttamente a scuola”, e così è stato. Fine delle feste a casa.
Da piccola ero estremamente competitiva2. Lo ero anche nelle relazioni: mi sembrava molto figo essere un’amica “migliore” delle altre, per una bambina che mi piaceva. Di solito però la mia intenzione e il mio sentimento non erano reciprocati - non ero esattamente la più popolare della classe: solo “la più brava” (e probabilmente una delle più schiette, saputelle e antipatiche). Ero anche molto concentrata su di me, sui libri che divoravo uno dopo l'altro, sui miei interessi, e non così perspicace a leggere le situazioni sociali, soprattutto quelle in cui c’erano persone mie coetanee - quindi non ricordo di aver sofferto troppo per questa cosa. Solo un po’. Avevo altro a cui pensare. Anche se mi ricordo ancora di quando G ha detto che non gli stavo molto simpatica perché volevo sempre “primeggiare”. Sono morta dentro, un po’ perché sotto sotto lo stimavo (leggeva molto), un po’ perché era la prima volta che sentivo quella parola e non la prendevo benissimo che ci fosse qualcuno che mi batteva sul mio stesso terreno.
Oltre alla famiglia e alla scuola, hanno contribuito a minare le mie velleità di protagonismo anche le mie relazioni sentimentali. Il mio primo moroso, molto cattolico, dopo anni di relazione, durante un litigio aveva finalmente ammesso che io ero al terzo posto nelle sue priorità: al primo c’era Dio, al secondo la sua famiglia d’origine. (Nei miei conteggi, in realtà, arrivavo al massimo quarta o quinta, dopo il calcetto e la chitarra, ma lui ha sempre negato.) Comunque mi ha rassicurato: “Tranquilla: quando ci sposeremo sarai al secondo posto”. Inutile dire che questo non è mai successo.
Anche Federico non era proprio un campione a riempire questa mia fame di riconoscimento. Al nostro primo appuntamento, mi ha detto che cercava una persona che camminasse da sola, e che non avesse bisogno di appoggiarsi emotivamente a lui. Devo aver risposto bene, perché alla fine della serata mi ha baciata, al parco San Giuliano. Alla seconda uscita, mi ha fatto un altro discorso sottilmente metaforico, sui polli, che se si infornano a fuoco troppo alto si bruciano fuori ma restano crudi dentro. A quel punto l’ho tranquillizzato: “Guarda, tra 2 mesi vado a Parigi, non so per quanto ma non escludo per sempre”. Questo mi ha garantito un’estate abbastanza idilliaca.
Ma la relazione non è finita quando sono partita per la Francia. Dopo un anno di faticosa distanza, in tempi in cui il roaming internazionale era fantascienza, gli ho detto il fatidico “Ti amo”, che per me allora era una tappa obbligata se si stava in una relazione “seria” e progettuale (comunque sì, a prescindere dalle tappe imposte dalla cosiddetta “scala mobile relazionale”3, lo amavo). Lui è stato in silenzio, e una settimana dopo che me n’ero ripartita ha provato a mollarmi via chat4. Non c’è riuscito, quella volta.
La relazione è proseguita, tra alti e bassi, tra compleanni suoi celebrati come avrei voluto celebrare i miei, circondato da amicizie entusiaste, e compleanni miei fonti perenni di frustrazione e insoddisfazione. Ma visto che sono cocciuta e le cose che non succedono le faccio succedere, per i miei trent’anni ho chiesto una festa a sorpresa. Federico - lo ammetto - si è prestato con il sorriso: ha organizzato, e ha fatto perfino il gesto di bendarmi in macchina - così che non potessi intuire dove stavamo andando. Ovviamente conoscevo perfettamente la location: mi ha portato nella grande casa con giardino dei suoi, a 2 chilometri da dove abitavamo, dove aveva radunato un po’ di amicizie comuni. Comunque quella è stata una bellissima festa. È rimasta un unicum nella nostra storia.
Non so quanto queste esperienze di vita mi abbiano influenzata, ma sicuramente qualche segno l’hanno lasciato. Fatto sta che, negli ultimi anni, ho capito che, in generale, gestisco molto meglio le persone emotivamente indisponib indipendenti rispetto a quelle ansiose e richiedenti. “MOLLAMI”, penso, in maiuscolo, tutte le volte che ho l’impressione che qualche persona mi stia un po’ troppo appiccicata, e mi pare che si aspetti qualcosa da me. Lo penso soltanto, perché ho capito che non è carino dirlo, ma la mia reazione istintiva è indietreggiare e poi prendere la fuga. Sono stata abituata a essere da sola, e a provvedere da sola alle mie necessità emotive. Mi è stato insegnato, a parole e con l’esempio, che non devo aspettarmi nulla, che non devo disturbare, che devo stare al mio posto, e che l’affetto - in fondo - è qualcosa che si merita5.
Ho capito, anche grazie alla terapia, che non ho molti strumenti per gestire relazioni diverse da questo tipo: sono le uniche che conosco, e sono quelle in cui mi trovo meglio, perché comunque la libertà e l’indipendenza sono valori importanti per me.
Crescendo, ho manifestato un’intolleranza sempre più pronunciata per ogni tipo di relazione chiusa e prioritaria, quale che sia il tipo di legame. Ho capito che vivo i rapporti in modo anarchico. Non riconosco gerarchie tra le relazioni - di sangue o di elezione, sentimentali o affettive, platoniche o sessuali: per me non c’è una classifica di valore, a differenza di quello che crede e vive la maggior parte della gente. Sono insofferente alle regole sociali, quindi preferisco frequentare persone che siano aperte a negoziare i termini della nostra relazione, piuttosto che prone a seguire percorsi preconfezionati.
Però… c’è un però. Quella bambina che voleva essere protagonista, che voleva essere “la più importante” della giornata, che voleva essere la più amata, è ancora lì. Mica si è placata. E si scatena con particolare virulenza in due occasioni: natale, e compleanno. Qui non c’è razionalità che tenga, non ci sono discorsi logici che reggano: quella bambina urla che vuole la sua festa di natale, e la sua festa di compleanno. Vuole essere scelta. Vuole che le persone che dicono di amarla decidano di stare con lei. Si ricordino di lei. Le stiano vicino nel modo in cui lei vuole. E rimane delusa, anno dopo anno, festività dopo festività: c'è sempre un marito, una moglie, un_ partner, della prole, dei parenti di sangue che vengono prima di lei. Prima di me.
Anche se, con gli anni, la terapia e il costante lavoro di introspezione, sono riuscita a identificare il nodo, non sono ancora riuscita a scioglierlo.
La mia psicologa mi ha chiesto: “Ma tu lo hai detto, questo, alle tue persone?” e io ho risposto senza nemmeno pensarci che certo che sì, che sono sempre molto verbale, e che le cose le dico sempre molto chiaramente. E comunque, se le parole non bastassero, parlano i fatti.
Ma poi, dopo lo sfogo impulsivo su Instagram, ho portato questo dolore anche nella vita offline, e ne ho effettivamente parlato con alcune persone che amo molto. E ho capito che quello che a me sembrava ovvio, chiarissimo, palese, in realtà per molte persone che so che mi vogliono bene non lo era. Perché ogni persona sovrascrive quello che ascolta, vede e vive con le proprie esperienze e i propri traumi. “Te ne sei andata, io credevo che non volessi essere disturbata”, mi hanno detto diverse persone. “Ho rispettato il tuo bisogno di lontananza”. “Credevo che fosse un modo per far passare il tuo compleanno in sordina”. “Anche per me il compleanno è importante, ma il modo in cui voglio essere celebrat_ è con un messaggio su WhatsApp, non altro”.
Io sto ancora cercando di capire in che modo sono correlati, per me, amore e dimostrazione di amore, dipendenza e indipendenza, competizione e parità, esclusiva e libertà. Rileggo periodicamente “Per una rivoluzione degli affetti” di Brigitte Vasallo, “Tutto sull’amore” di bell hooks e “Dare la vita” di Michela Murgia, di cui sottolineo sempre parti nuove.
Oggi so che, per la mia storia di vita e i miei valori, la mia libertà e la mia indipendenza individuali non sono più negoziabili. Ma nelle mie relazioni, quali che siano, ho anche bisogno di impegno, profondità e progettualità. Voglio orizzontalità ma anche priorità, e non ho ancora capito come conciliare queste due esigenze (apparentemente?) contrastanti. Continuo a fare molta fatica a stabilire confini e a comunicare le mie esigenze a chi amo, anche se ci sto lavorando e sono circondata da persone che capiscono i miei sforzi e sono molto ricettive, e anche reattive. Sono consapevole che spesso non vengo capita, perché, per la società in cui vivo (italiana, di matrice cattolica, con un legame ideologico fortissimo con il concetto di “parentela di sangue”), sono una specie aliena. Un virus da espellere.
Per ora resisto, ma il mio progetto a medio-lungo termine resta di andare via da questo paese. Con i miei tempi.
Vorrei ringraziare le 984 persone che si sono iscritte a queste letterine casuali in circa 2 mesi.
E vorrei ringraziare ancora di più Laura e Ilenia, che hanno sottoscritto l’abbonamento a pagamento.
Questo progetto sta prendendo forma di settimana in settimana, e ti confesso che io ero la prima a non avere una grande fiducia di riuscire a portarlo avanti con una certa continuità. Invece sta diventando uno spazio di riflessione importante per me - accostato alla terapia. Qui metto per iscritto ragionamenti e pensieri che finora sono stati solo nella mia testa o che al massimo ho condiviso con qualche amicizia. I riscontri che mi stanno arrivando privatamente mi dicono che è uno spazio che serve anche ad altre persone, forse anche a te.
“Geografie emotive” continuerà a essere gratuita, ma in questi tempi di grande incertezza economica il supporto di qualche abbonamento rende questo progetto più sostenibile per me.
Sono Elena, ma mi chiamano anche Cassandra. Ho la fissa delle parole dacché ho memoria. Parlo di parole (anche di quelle che non esistono) come speaker e moderatrice. Insegno quanto sono potenti in corsi sul linguaggio chiaro e accessibile, responsabile e consapevole, con un focus su età, genere, neurodivergenze, morte, lutto e lavoro. Scrivo di femminismi e giustizia sociale su RSI (Radiotelevisione svizzera). Con l’associazione Caratteri Cubitali mi occupo di accessibilità digitale.
Se vuoi collaborare con me, scrivimi a info@elenapanciera.it.
Ancora qualche consiglio
“Per una rivoluzione degli affetti. Pensiero monogamo e terrore poliamoroso” di Brigitte Vasallo, uscito per effequ nel 2022, è stato “il” libro del mio 2024. A prescindere dal tuo orientamento relazionale, secondo me dovresti leggerlo perché è uno di quei libri che ti spaccano il cervello. Vasallo unisce i puntini e spiega in un modo straordinariamente convincente come la monogamia occidentale e il capitalismo siano collegati, trovando i minimi comuni denominatori proprio nei concetti di competizione ed esclusiva.
“Tutto sull’amore. Nuove visioni” di bell hooks è stato ripubblicato da Il Saggiatore nel 2022 nella traduzione di Maria Nadotti. Mi aveva colpito fin dal post di Chiara (@_imieiritagli_), e lo avevo comprato. Be’, è un altro di quei libri super trasformativi (come più o meno tutta la produzione di hooks). Ci sono indubbiamente alcune parti invecchiate male e che fanno capire la generazione dell’autrice (nata nel ‘52), ma per il resto ci sono parti folgoranti e una profondità che raramente si trova in libri sul tema dell’amore.
“Dare la vita” è il primo libro postumo di Michela Murgia, pubblicato da Rizzoli nel 2025. Pur con evidenti limiti e lacune dovute al fatto che è stato pubblicato in frettissima, descrive bene un modello alternativo alla famiglia “tradizionale” basata sui legami di sangue, che Murgia definisce “queer”. Io ne ho parlato brevemente in questo articolo per RSI.
Sempre a proposito di relazioni, quest’anno ho ascoltato il podcast “Il cuore scoperto”, traduzione dell’associazione Vanvera dell’originale “Le coeur sur la table” di
. Da pochissimo è uscita la traduzione anche del libro omonimo per ADD Editore - io devo ancora riceverla ma mi sento di consigliartela a pagine chiuse. Tuaillon esplora cosa può e dovrebbe essere l’amore negli anni Venti del Duemila, per costruire relazioni profonde e egualitarie. Parla di come anche l’amore sia politico, e di come possiamo trasformarlo e attualizzarlo, riconoscendone le strutture stereotipiche e oppressive, e scegliendo di allontanarcene.
Sì, ho questo vizio di usare le storie come diario personale. Non sempre riesco a pensare e prevedere tutte le conseguenze che hanno le cose che scrivo. In questo caso, mi sono resa conto del peso di quelle parole - e le ho diffuse solo tra le “amicizie verdi”, quelle in qualche modo più vicine a me.
Così, per hobby, sto cercando di capire quanto era colpa dell’alto potenziale cognitivo, e quanto dell’ambiente esterno - un po’ come cercare di capire se è nato prima l’uovo o la gallina.
Ho sentito parlare di “scala mobile relazionale” (“relationship escalator”) nel contesto delle non monogamie cosiddette “etiche” o “consensuali”, e in particolare del poliamore. Non ho ancora letto il famoso saggio “Stepping Off the Relationship Escalator. Uncommon Love and Life” di Amy Gahran, pubblicato nel 2017, che non è ancora stato tradotto in italiano. Ma ne parla diffusamente anche Dania Piras (@hello_policose) in “Un poliamore così grande. Perché non c’è un solo modo di amare”, uscito nel 2025 per Sonda.
Sì, Gatto, te l’avevo promesso che ti avrei continuato a rinfacciare sta cosa fino alla morte: intendevo la mia.
Anche questo potrebbe diventare il tema di una di queste letterine.
"Mi è stato insegnato, a parole e con l’esempio, che non devo aspettarmi nulla, che non devo disturbare, che devo stare al mio posto, e che l’affetto - in fondo - è qualcosa che si merita"
Quanto risuonano queste parole. Te lo dice una che si sta abituando a ricevere regali a 35 anni dalla sua famiglia di elezione perché quella biologica che te lo dico a ffa'.
". Sono stata abituata a essere da sola, e a provvedere da sola alle mie necessità emotive. Mi è stato insegnato, a parole e con l’esempio, che non devo aspettarmi nulla, che non devo disturbare, che devo stare al mio posto, e che l’affetto - in fondo - è qualcosa che si merita5."
"Vuole essere scelta. Vuole che le persone che dicono di amarla decidano di stare con lei. Si ricordino di lei. Le stiano vicino nel modo in cui lei vuole. E rimane delusa, anno dopo anno, festività dopo festività: c'è sempre un marito, una moglie, un_ partner, della prole, dei parenti di sangue che vengono prima di lei. Prima di me."
"Voglio orizzontalità ma anche priorità, e non ho ancora capito come conciliare queste due esigenze (apparentemente?) contrastanti."
Sono le frasi che mi sono arrivate come un pugno. Che poi è stato tutto un riconoscermi. MA.
Grazie, Elena.