09. Un'altra vita
Speranza ai minimi storici, senso di distopia ai massimi. Stiamo continuando a lavorare come se nulla fosse, in mezzo all'apocalisse. Come si fa a resistere? Una lettera piena di Battiato, che sapeva.
Questa lettera è stata scritta a più riprese, in più giorni, in preda a tante emozioni diverse. Parte da riflessioni sul mio passato, arriva a riflessioni sul mio presente, che è un presente cupo in modo collettivo. Forse non ha un filo logico. Ma cosa ha un filo logico, oggi?
Se vuoi, leggila con le canzoni di Battiato in sottofondo. Io l’ho scritta così. Sennò leggiti anche solo i testi.
Certe notti per dormire mi metto a leggere,
e invece avrei bisogno di attimi di silenzio.
Certe volte anche con te, e sai che ti voglio bene,
mi arrabbio inutilmente senza una vera ragione.
Sulle strade al mattino il troppo traffico mi sfianca;
mi innervosiscono i semafori e gli stop,
e la sera ritorno con malesseri speciali.
Non servono tranquillanti o terapie
ci vuole un'altra vita.
Su divani, abbandonati a telecomandi in mano,
storie di sottofondo Dallas e i Ricchi Piangono.
Sulle strade la terza linea del metrò che avanza,
e macchine parcheggiate in tripla fila,
e la sera ritorno con la noia e la stanchezza.
Non servono più eccitanti o ideologie,
ci vuole un'altra vita.Franco Battiato
Pensavo che da adulta sarebbe stata più facile. Non ho avuto un’infanzia particolarmente felice. Mi rifugiavo nei libri, in universi fantastici in cui potevo dimenticarmi della mia vita, che mi sembrava insopportabile. Era noiosa, a scuola, e a casa insensatamente piena di limiti e vincoli di cui non comprendevo le ragioni (e non le comprendo nemmeno ora). Da primogenita, ho avuto il privilegio di subire tutti gli esperimenti genitoriali dei miei, che come molti di quella generazione non avevano apparentemente alcun dubbio, e invece erano sicurezze ostentate per darsi un tono. Negli anni Ottanta e Novanta non c’era spazio per i dubbi.
Ma poi sono cresciuta, e il livello di complessità è tutt’altro che diminuito. Burocrazia, sempre di più. Relazioni, appaganti ma anche molto impegnative. Una ricerca spasmodica del lavoro, senza sapere nemmeno cosa cercare, immediatamente dopo una crisi economica mondiale. Sentirmi dire che a 28 anni ero troppo vecchia per essere assunta. Che ero una “figlia di papà” perché ho fatto un dottorato, e in Italia c’era molta confusione (eufemisticamente parlando) su cos’è un dottorato. Lavori da dipendente in aziende microscopiche il cui livello di tossicità era inversamente proporzionale alle loro dimensioni. L’apertura della partita Iva, come reazione a una promessa di assunzione ritrattata, quando io ormai mi ero dimessa.

Fatture, dichiarazioni dei redditi, carte, carte, carte da presentare a enti e istituzioni che sanno tutto di me ma continuano a chiedermi informazioni che hanno già da decenni. Il tentativo di sopravvivere da sola con soldi ridicoli in una grande città, Milano, l’unica in Italia in cui una come me può pensare di trovare uno spazio e scomparire, almeno per un po’.
Il costante senso di fallimento perché nonostante un curriculum ineccepibile e la consapevolezza di avere capacità, entusiasmo e intelligenza, il sistema ha continuato a rigettarmi fuori, come un virus. Aliena.
“Mi sono sempre sentito diverso. Con te, sento di poter essere diversi insieme”, mi ha detto Federico una volta, e quella è stata una delle sue frasi d’amore più potenti. Insieme - anche se spesso da lontano - abbiamo trovato una nostra dimensione, un nostro equilibrio, per quanto precario. E poi mi è esploso tutto in faccia, quando è morto. Ho assecondato la distruzione, ho mollato i clienti, e me ne sono andata alla ricerca di me.
Sono quasi 4 anni che mi cerco. Ogni tanto mi sembra di trovarmi, ogni tanto mi sembra di trovare la mia dimensione, ogni tanto mi sembra di trovare persone che mi fanno vibrare, mi stimolano, mi regolano. Ma è un sentire momentaneo. Delusioni, abbandoni, strade senza uscita. E la ricerca ricomincia.
Quello che è costante è la rabbia, emozione con cui ho fatto pace, finalmente. Rabbia per le ingiustizie che vivo e che vedo, e che mi entrano sotto la pelle, riempiono il mio cervello, non mi fanno dormire, perché intorno tutto crolla.
“L’aspettativa di vita in Italia per le donne è molto alta, sfiora i 90 anni. E tu non riesci a immaginare la tua vita tra più di 5 anni?”, mi ha chiesto qualche anno fa, stupita, la consulente finanziaria a cui mi sono rivolta per cercare di capire cosa fare di quello che Federico mi ha lasciato (lui sì che aveva un lavoro vero, e con lui ho aperto un mutuo, e ho fatto cose “da grande”), e che sento destinato a erodersi pian piano perché continuo a non essere economicamente autosufficiente, a 42 anni, nonostante i titoli di studio, l’intelligenza, la creatività, la caparbietà.
Non riesco a immaginarmi viva, tra 5 anni, no. Nemmeno tra 2. Un po’ perché la morte di Federico e di N mi hanno dimostrato che non contano né l’alimentazione sana, né la meditazione, né la terapia, né lo sport, non conta niente di niente. Puoi morire in un giorno di sole, in vacanza, a nemmeno 40 anni.
Non riesco a immaginarmi viva anche perché sento tutto sgretolarsi intorno a me. Sono sopravvissuta a diverse crisi economiche mondiali, a una pandemia. Eppure il mondo continua a offrire un orrore dopo l’altro: genocidi, guerre, violenza sistemica e legalizzata, diritti sempre più a rischio anche nel nostro “illuminato occidente democratico”. Gli USA molto vicini a diventare uno stato di polizia, l’Italia pure. Stiamo vivendo un’emergenza climatica che si avvicina sempre di più al punto di non ritorno.
Vivo come un cammello in una grondaia
in questa illustre e onorata società.
E ancora, sto aspettando un'ottima occasione
per acquistare un paio d'ali, e abbandonare il pianeta.
E cosa devono vedere ancora gli occhi e sopportare?
I demoni feroci della guerra che fingono di pregare.
Eppure lo so bene che dietro a ogni violenza esiste
il male... se fossi un po' più furbo, non mi lascerei tentare.
Come piombo pesa il cielo questa notte.
Quante pene e inutili dolori.Franco Battiato
Vengono calpestati i miei diritti e quelli delle persone che amo, che sono considerate di serie B perché disabili, neurodivergenti, queer, con problemi di salute mentale, razzializzate, trans. Intorno a me sempre più persone disilluse, incapaci di vivere, ignave, che si rifugiano nell’individualismo. E un po’ più lontane, ma pur sempre fin troppo vicine, persone razziste, abiliste, sessiste, omolesbobitransfobiche, fasciste.
Come si fa a pensare al futuro quando il mondo sta crollando?
Come si fa a sognare, come si fa a progettare?
Come si fa a innamorarsi?
Eppure… mi alzo ogni mattina, al rallentatore. Ho tutte le membra indolenzite, da mesi. Metto in movimento ogni parte del mio corpo, lentamente. E poi metto in moto il cervello, iniziando da un caffè.
Tengo lezioni, scrivo, costruisco presentazioni, correggo testi e documenti, faccio riunioni, preparo preventivi, pubblico storie su Instagram, condivido articoli, indosso un sorriso che ho imparato a falsificare da bambina. Ostento entusiasmo, che in parte è vero, in parte mi serve per tenermi viva, per farmi funzionare. E scrollo contenuti che “si piegano, si distorcono in una pila grottesca: cani e gattini tra le macerie di Gaza. Missili sui tetti di Teheran e Tel Aviv. Peluche in technicolor”, come racconta
in “Cosa caspita sto guardando”.Nell’ultimo numero di
ha citato una newsletter che mi è risuonata moltissimo: “We Used to Pause. Now We Schedule Through the Apocalypse” (“Prima facevamo delle pause. Ora programmiamo attraverso l’apocalisse”), di .We’re living in an era where every headline feels like a personal attack. The protests haven’t stopped. The courts are on fire. You can’t open your phone without accidentally stumbling into another human rights crisis before you’ve had coffee.
And yet the content… keeps on coming.
Viviamo in un’epoca in cui ogni titolo sembra un attacco personale. Le proteste non si sono fermate. I tribunali sono in fiamme. Non puoi aprire il tuo telefono senza inciampare accidentalmente in un’altra crisi dei diritti umani prima ancora di aver bevuto il caffè.
Eppure il contenuto... continua ad arrivare.
Dirigo la mia rabbia verso cause non sempre utili. Mi espongo a rischi perché non c’è più nessuno a tirarmi indietro, a dirmi di dormirci su, a abbracciarmi e a farmi capire che il nemico è un altro. E scrollo, video di gattini, lama e cuccioli di specie improbabili, e caroselli di denuncia, video censurati, guerra, guerra, guerra. Si chiama “ipernormalizzazione”, ho scoperto da
.La sera mi bevo un bicchiere di vino, mi prendo le mie gocce per dormire, mi accendo un podcast di quelli con le voci belle, come quelli di
o di Irene Lami, e dormo notti agitate, piene di sogni che non ho mai avuto.La mattina dopo mi alzo di nuovo, al rallentatore. Ma mi chiedo sempre più spesso qual è il senso di tutto questo.
Povera patria,
schiacciata dagli abusi del potere
di gente infame, che non sa cos'è il pudore.
Si credono potenti e gli va bene quello che fanno
e tutto gli appartiene.Tra i governanti
quanti perfetti e inutili buffoni,
questo paese devastato dal dolore.
Ma non vi danno un po' di dispiacere
quei corpi in terra senza più calore?Non cambierà, non cambierà.
No cambierà, forse cambierà.Ma come scusare
le iene negli stadi e quelle dei giornali?
Nel fango affonda lo stivale dei maiali.
Me ne vergogno un poco e mi fa male
vedere un uomo come un animale.
Non cambierà, non cambierà.
Sì che cambierà, vedrai che cambierà.Si può sperare
che il mondo torni a quote più normali,
che possa contemplare il cielo e i fiori,
che non si parli più di dittature,
se avremo ancora un po' da vivere.
La primavera intanto tarda ad arrivare.Franco Battiato
Oggi è oggi, sì, e oggi per me è “insieme”. Anche se ieri, mentre scrivevo quello che hai appena letto, non riuscivo nemmeno a pensarla, questa parola.
È quello che vogliono, isolarci. Farci morire la speranza.
Chi è senza speranza sta in silenzio. Non si ribella. Accetta passivamente tutto quello che succede. Non si arrabbia. Si isola. Non decide più, demanda.
Sempre
scrive:Il primo gesto liberatorio è proprio nominare il disorientamento. Sapere che questo senso di apatia e frustrazione ha una radice sistemica, non solo individuale, permette di sottrarsi alla colpa e al senso di fallimento personale.
Da qui nasce una speranza reattiva e collettiva: ci sono persone che parlano, agiscono, sperimentano forme di solidarietà dal basso, anche piccole ma incisive. Che si alleano, creano spazi alternativi, si prendono cura le une delle altre al di fuori delle logiche performative e dei circuiti del potere.
C’è chi resiste con le parole e chi si mette in rete, dentro pratiche comunitarie che non cambiano tutto, ma rompono l’inerzia, creano fratture, aprono possibilità.
Qualche giorno fa ho fatto proprio questo, assistendo a “Oltre la rassegnazione. Ritrovare la forza di reagire in tempi di crisi climatica e genocidi normalizzati”, un incontro gratuito organizzato da Scuola Capitale Sociale, una realtà che ho scoperto grazie a
. Carlotta Muston, attivista per il clima, parte del movimento Ultima Generazione, ci ha guidato in una riflessione sulla necessità di prendere parte al cambiamento, anzi, alla rivoluzione.A me sembra spesso di provare a svuotare il Titanic con un cucchiaino, ma ho il privilegio - sudato - di trovare spesso senso in quello che faccio, dentro e fuori dal lavoro (anche perché per me è difficile oggi tracciare una linea tra cosa è lavoro e cosa non lo è). Mi conforta sapere che non sono sola, con quel cucchiaino. Che siamo tante piccole persone con tanti piccoli cucchiaini. E resistiamo.
“Questo è un periodo di passaggio”, mi ripeto, e ripeto a chiunque. Mi chiedo in che mondo arriveremo, però, una volta attraversato.
Sono Elena, ma mi chiamano anche Cassandra. Ho la fissa delle parole dacché ho memoria. Parlo di parole (anche di quelle che non esistono) come speaker e moderatrice. Insegno quanto sono potenti in corsi sul linguaggio chiaro e accessibile, responsabile e consapevole, con un focus su età, genere, neurodivergenze, morte, lutto e lavoro. Scrivo di femminismi e giustizia sociale su RSI (Radiotelevisione svizzera). Con l’associazione Caratteri Cubitali mi occupo di accessibilità digitale.
Se vuoi collaborare con me, scrivimi a info@elenapanciera.it.
Ancora qualche consiglio
Il libro che mi ha fatto fare pace con la rabbia è “La rabbia ti fa bella”, di Soraya Chemaly, uscito in Italia per HarperCollins nel 2019. Ho un po’ di critiche sulla traduzione, a iniziare dal titolo: l’originale è “Rage Becomes Her”, letteralmente “La rabbia diventa lei”, è anche un riferimento al titolo del film “Death Becomes Her”, che in italiano era stato discutibilmente tradotto come “La morte ti fa bella”. Alzo gli occhi al cielo quindi per la scelta di riprendere questo riferimento, e mi concentro sulle cose belle, tipo che almeno questo libro è stato tradotto, dai.
Un corso che sto tenendo in questo periodo è “Documenti accessibili: progettazione, verifica e pubblicazione”, per AgID: è gratuito, dai un’occhiata se ci sono ancora posti o se ti interessa qualche altro corso sull’accessibilità digitale. Finiscono a fine giugno, però: datti una mossa.
“Systems Are Crumbling — But Daily Life Continues. The Dissonance Is Real” è l’articolo di Adrienne Matei pubblicato sul “The Guardian” che ho scoperto sempre grazie ad
in cui si parla di “hypernormalization”, “ipernormalizzazione”.Il prossimo incontro gratuito del ciclo “Disarmare le parole. Orizzonti di pace e di guerra” si intitola “L’amore ai tempi della guerra”, e sarà guidato dalla filosofa e saggista Annalisa Ambrosio. Sarà martedì 24 giugno alle 18:00, ti puoi ancora iscrivere. Puoi recuperare anche le registrazioni degli incontri precedenti. Dai poi un’occhiata a tutta l’offerta formativa di Scuola Capitale Sociale (a pagamento, ma cifre abbastanza contenute), che merita.
Franco Battiato è stato uno degli amori della mia vita. Nessun’altra persona ha saputo raccontare il presente e il futuro, tra scienza e mistica, come ha fatto lui. Amo particolarmente l’album “Fisiognomica”, quello che me l’ha fatto scoprire, da adolescente. Negli ultimi anni, mi sono aggrappata alle sue canzoni in cui parla di morte, e di vita: “Un irresistibile richiamo”, “Del suo veloce volo”, “Eri con me”, “Haiku”, “La porta dello spavento supremo”. Ti consiglio anche il suo documentario “Attraversando il bardo: sguardi sull’aldilà”.
Leggerti ci ha reso tuttə un po’ meno solə per qualche minuto. 💜
Già solo "costruire un pomeriggio" a me sembra un gran risultato, però. Un giorno per volta. E fra cinque anni, ci ritroveremo qui, o anche due, e vedremo come ci siamo arrivate. Attraversando tutto questo. In un qualche modo. Con questo sentimento di svuotamento e smarrimento Ma, anche, con quella voglia forte di fare la nostra parte, qualsiasi essa sia. Grazie Elena per avere sempre le parole per descrivere quello che abbiamo dentro. Risuoni 🫰🏼